Aborto, eutanasia e la discretizzazione del continuo

December 22, 2011 | 3 Minute Read

Giudice: “Staccandogli la spina lei ha mandato a morte un quasi vivo e pertanto ha commesso un quasi omicidio”
Imputato:”Quindi signor giudice sono colpevole?”
Giudice:”Quasi”

Aborto ed eutanasia: due temi accomunati dall’avere entrambi a che fare con il passaggio da vita a non vita, oltre a far parte di quelle categorie di parole che, non appena citate, fanno subito crollare l’interesse dell’interlocutore, un pò come “conflitto d’interessi” o “strumentalizzazione”. Se n’è discusso a più non posso e ritengo che siano temi sui quali (udite udite) sia inutile discutere se l’obiettivo della discussione è quello di voler arrivare ad una conclusione che dia una risposta alla radice del problema, che non si asservi alle esigenze di seguire canoni ideologici preimpostati per buona pace della propria coscienza identiteria, di guadagnare voti o alla necessità di avere risposte a prescindere della loro veridicità.

L’uomo e la società ha bisogno di punti di riferimento: o è zero o è uno, ma lo 0,5  ha da sempre cercato di appiopparlo ad uno dei due estremi tramite teorie, convenzioni, approssimazioni, per eccesso o per difetto. Potremmo parlarne per ore ma 0,5 è 0,5 punto. Ed ecco dove voglio arrivare: il feto è vita o è morte? un individuo in stato vegetativo è vivo o è morto? è 0,5!”Grazie al c**o!”. Questi equivoci nascono quando si cerca di tradurre un processo continuo non quantificabile (il passaggio da vita a non vita e viceversa) in una distribuzione discreta binaria (vivo o morto, assassino o innocente, buono o cattivo).

Qualsiasi soluzione legislativa, che sia proibizionista o meno, serve solo ad aggirare l’ostacolo, in quanto giuridicamente quello 0,5 non è gestibile. Immaginatevi altrimenti la sentenza:
Giudice “Staccandogli la spina lei ha mandato a morte un quasi vivo e pertanto ha commesso un quasi omicidio”
Imputato:”Quindi signor giudice sono colpevole?”
Giudice:”Quasi”

Perfetto quindi non ci resta che accontentarci di qualche legge, leggina, interpretazione, convenzione, comma, dogma che ci dica con buona approssimazione cosa è giusto fare e rassegnarci al fatto che chiunque esprima il proprio giudizio categorico non può che aver poca voce in capitolo. Giungendo così alla conclusione che a 3mesi più un infinitesimo sei un feto vivo e a 3mesi meno un infinitesimo sei un feto non ancora vivo: risolto il problema legislativo. Ma la questione morale sta alla radice di quella legislativa e si deve porre la domanda se quel feto è effettivamente vivo o non vivo, se quella linea tracciata con un gessetto come facevamo da bambini con la “linea del fuori” corrisponde davvero al confine tra la vita e la non vita, qualora un confine davvero ci sia.
“Ma se la palla è a cavallo della linea è dentro o è fuori?” Spiacente non è dato sapersi.